Comunico che il Blog non sarà più aggiornato e con il nuovo anno sarà chiuso. Tutti i post presenti sono stati trasferiti su http://www.flessibilmente.com

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L’allenamento sportivo, quando strutturato in modo corretto, ha lo scopo di alterare l’omeostasi organica dell’atleta al fine di ottenere degli adattamenti che ne migliorino la prestazione. Scendendo nel dettaglio possiamo affermare che l’allenamento è un mezzo per provocare un segnale cellulare che determina una risposta probabilisticamente prevedibile. Detto in parole più semplici ci si aspetta che un certo tipo di allenamento produca una risposta cellulare di adattamento che a livello macroscopico si traduce in un miglioramento di una specifica qualità. Sappiamo che, con buona probabilità, se un atleta si allena in palestra sollevando dei carichi superiori all’85% del proprio massimale (1 RM), con un congruo numero di serie e un recupero adeguato tra le serie, aumenterà la forza massimale. Allo stesso modo l’esperienza ci insegna che facendo fare delle ripetute sui 400m ad un podista, migliorerà la velocità di corsa.Continua a leggere…
In questo articolo riporto una studio che avevo svolto riguardo alle metodo delle serie lente a scalare (MSLS) applicate al triathlon. Non è un vero e proprio studio scientifico essendo viziato da molte leggerezze metodologiche, prime tra tutte il campionamento degli atleti. E’ più una verifica sul campo di un metodo che ho introdotto nella preparazione di alcuni atleti nell’anno 2015 e che volevo verificare fosse efficace. Uno studio home made. Credo che l’atteggiamento scientifico del preparatore atletico sia anche verificare, seppur con i limiti legati all’attività che svolge, l’efficacia dei mezzi allenanti che utilizza. Molto spesso la ricerca parte proprio da spunti e risultati ottenuti sul campo dagli allenatori.
Uno dei problemi che affliggono molti triatleti dediti alla distanza Ironman durante la competizione è relativo al tratto gastrointestinale. Generalmente si manifesta nella maratona finale con effetti ed esiti che spesso conducono al ritiro o, comunque, ad un deterioramento importante della prestazione. Si presenta con diverse sintomatologie. Alcuni sintomi, detti primari, sono direttamente relazionati al tratto gastrointestinale, appartengono a questa categoria dolori addominali, vomito, diarrea e gonfiore. Altri, detti secondari, pur avendo una causa gastrointestinale si manifestano in altri distretti. Appartengono a questa categoria ipoglicemia, crampi muscolari, capogiro e esaurimento dei substrati energietici spesi durante la performance. I sintomi secondari generalmente sono provocati a monte da un malassorbimento di nutrienti e liquidi da parte dell’intestino. Durante la finale mondiale di Ironman a Kona del 1997 a 50 metri dal traguardo Chris Legh, che stava concludendo la gara in quinta posizione assoluta, crollò a terra senza riuscire ad oltrepassare la finish line di Alii Drive. Fu ricoverato in ospedale e sottoposto ad un intervento di rimozione di parte dell’intestino necrotizzato a causa di una grave colite ischemica. Continua a leggere…
Per comprendere l’importanza del ferro nel nostro organismo basta ricordare quanto accaduto ai giochi olimpici di Londra del 2012. Nella gara di triathlon femminile una forte atleta canadese, Paula Findlay, taglia il traguardo in ultima posizione tra le lacrime. La successiva diagnosi è impietosa: grave anemia. Quello che risulta incomprensibile è come una top atleta seguita da un team di nutrizionisti ed allenatori abbia potuto incorrere in un’ anemia da sport.Continua a leggere…
Parte della preparazione atletica si risolve sostanzialmente nella predisposizione strutturale, fisiologica e biochimica dell’atleta alla gestione dell’energia. Il concetto di energia abbraccia diverse sfaccettature tra le quali le più interessanti per l’atleta sono la potenza erogata e l’economicità. Quello che si cerca di fare, attraverso gli allenamenti, è di rendere la “macchina” atleta il più economica e potente possibile. Continua a leggere…
Nel campo della nutrizione sportiva si parla molto spesso del ruolo dei carboidrati nella prestazione di endurance. E’ assodato che la deplezione del glicogeno ha un effetto negativo sulla prestazione sportiva, tuttavia la domanda che si pone è : “ E’ sempre consigliabile eseguire gli allenamenti con le riserve di glicogeno integre?” In questo articolo vorrei porre all’attenzione alcune ricerche che stanno proponendo un approccio nutrizionistico “periodizzato”, ovvero che è adattato fino al singolo allenamento. Continua a leggere…
In questo articolo vorrei trattare un tema che spesso è dato per scontato ed acquisito, ma che nella realtà dei fatti, molto spesso non lo è. Parlo del contenuto informativo di un allenamento. Vi siete mai chiesti qual è la genesi di un allenamento, come nasce? Perché è fatto in un modo piuttosto che in un altro? Ogni proposta di allenamento reca con sé sempre un contenuto informativo, spesso veicolato da strani codici Z1, Z2, FL, FM soglia etc.L’effetto di un allenamento è determinato dalla qualità delle informazioni contenute, ma anche dalla capacità dell’atleta di “leggere” e capire l’allenamento. Spingo sempre gli atleti ad essere curiosi a non accettare il pesce pescato, ma ad imparare a pescare. Solo in questo modo si può avere l’autonomia per capire, ottenere risultati e crescere. Continua a leggere…
Nel mondo della preparazione atletica si è assistito, e si continua ad assistere, ad un “sessismo metodologico”. Donna e uomo sono, endocrinologicamente parlando, molto diversi. Perché dunque si continua ad allenarli allo stesso modo? Sappiamo che l’ambiente ormonale ha un profondo impatto sull’adattamento allo stimolo allenante, non considerarlo opportunamente può condurre ad una risposta sottostimata o, in alcuni casi, ad un esito negativo, come nel caso dell’amenorrea. Capire come sono periodizzati gli ormoni femminili e quale stimolo è più appropriato quando è presente una determinata configurazione endocrina è essenziale per quanti si occupano di allenamento al femminile.Continua a leggere…
Il termine autofagia deriva dal greco e significa “mangiare se stessi”. Fu coniato, circa 40 anni fa da Christian De Duve. Sono riconosciuti tre tipi di autofagia: macro-autofagia, micro-autofagia e autofagia mediata da chaperone, una proteina necessaria per la corretta aggregazione delle catene polipeptidiche. Le unità funzionali del nostro organismo sono le cellule dal cui ciclo vitale dipende la nostra salute. All’interno delle cellule tutti i processi biochimici di produzione energetica, sintesi proteica e replicazione del DNA sono permessi da una serie di “strumenti” chiamati organelli.
Una cellula è come un’industria in cui diversi settori utilizzano macchine particolari per trasformare il prodotto grezzo in prodotto finito. Si intuisce immediatamente che la “manutenzione” degli organelli (le macchine industriali del nostro esempio) è estremamente importante per il corretto funzionamento cellulare. Continua a leggere…